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Ruolo del microbiota intestinale nel management dell’osteoartrosi: consensus di esperti della “European Society for Clinical and Economic aspects of Osteoporosis, osteoarthritis and musculoskeletal diseases” (ESCEO)

L’artrosi è una patologia infiammatoria ad eziologia multifattoriale considerata tra le più comuni malattie muscolo-scheletriche del XXI secolo. La prevalenza è in costante aumento e ciò si spiega non solo grazie ad un aumento della longevità globale, ma anche ad una modifica delle abitudini alimentari e dello stile di vita dei Paesi industrializzati. Una dieta povera di fibre e ricca di zuccheri complessi, grassi saturi e cibi processati, associata ad una importante sedentarietà e scarsa attività fisica, sono tra le principali cause di disbiosi intestinale, sindrome metabolica e inflammaging, tutte implicate nello sviluppo delle patologie muscolo-scheletriche. Per tale motivo, la “European Society for Clinical and Economic aspects of Osteoporosis, osteoarthritis and musculoskeletal diseases” (ESCEO) ha deciso di convocare quest’anno un gruppo di esperti nel settore, specialisti in diverse discipline mediche, al fine di analizzare il possibile ruolo della disbiosi intestinale nello sviluppo dell’artrosi. Per disbiosi intestinale si intende un’alterazione quantitativa e qualitativa del microbiota intestinale (MBI), non solo in termini di composizione e biodiversità, ma anche delle sue relative funzioni. Il MBI colonizza l’intero tubo digerente, rappresentando un vero e proprio ecosistema, del peso di circa 1,5 kg, composto da più di 1014 batteri, nonché miceti, virus, fagi e parassiti. Questo, fisiologicamente, ha importanti implicazioni in diversi ambiti, quali nutrizione, mantenimento dell’omeostasi metabolica, protezione dalle infezioni e sviluppo dell’immunità innata. Tuttavia, una perturbazione della fisiologica eubiosi intestinale può determinare lo sviluppo di diverse patologie croniche associate a disordini muscolo-scheletrici, [...]

2019-10-21T11:50:42+02:0014 Ottobre 2019|

Algoritmo per l’utilizzo dei marker biochimici di turnover osseo nella diagnosi, valutazione e follow-up del trattamento dell’osteoporosi

I “marker” di turnover osseo sono indicatori biochimici che misurano il fisiologico processo di formazione e riassorbimento della massa ossea direttamente dal siero e potrebbero essere utili per il management dell’osteoporosi. Le indicazioni nella pratica clinica su quali marker utilizzare e quando sono ad oggi ancora argomento di dibattito.A questo scopo, quest’anno sono stati pubblicati i risultati di una Consensus tenutasi il 5 Febbraio 2019 a Ginevra basata sull’opinione di esperti di metabolismo osseo, specialisti di diverse discipline mediche, su come utilizzare efficacemente i marker di turnover osseo nei pazienti affetti da osteoporosi. I risultati sono stati approvati dalla European Society on Clinical and Economic Aspects of Osteoporosis, Osteoarthritis and Musculoskeletal Diseases (ESCEO).Il lavoro condotto da Lorentzon et al. afferma che tra i vari possibili indicatori di turnover osseo, i più affidabili sono il pro-peptide N-terminale del pro-collagene di tipo I (PINP) per la neoformazione, e il telopeptide C-terminale del collagene di tipo I (bCTX) per il riassorbimento osseo. Sebbene non possano essere utilizzati propriamente per la diagnosi di osteoporosi e correlino relativamente poco con la perdita di densità minerale ossea, il loro andamento sembra essere legato al rischio fratturativo nel breve periodo e possono essere pertanto spia di una possibile osteoporosi secondaria.Inoltre, è stato suggerito il loro utilizzo nel monitoraggio dell’aderenza alla terapia in pazienti che assumono bisfosfonati orali, e nei pazienti in trattamento con anticorpo monoclonale umano anti-rank lingando (denosumab), nella critica fase di transizione dalla terapia biologica [...]

2019-09-26T11:51:17+02:0026 Settembre 2019|

Il denosumab come terapia adiuvante nel tumore alla mammella non metastatico: nuove evidenze in letteratura

Il denosumab è un anticorpo monoclonale indicato nel trattamento dell’osteoporosi postmenopausale, della perdita ossea per artrite reumatoide e delle metastasi ossee. Questo farmaco agisce formando immunocomplessi con RANKL che, una volta sequestrato, non lega il suo recettore, inibendo pertanto la maturazione degli osteoclasti. In Italia la Nota AIFA n.79 (determina n.589 della GU n.115 del 05-20-2015) identifica questo anticorpo monoclonale tra le prime scelte per la prevenzione primaria di fratture osteoporotiche nelle donne in menopausa in trattamento di blocco ormonale adiuvante per carcinoma mammario. L’efficacia antifratturativa del denosumab è ben documentata in letteratura ma recentemente diversi studi di drug repurposing stanno rivalutando questa molecola per il suo ruolo adiuvante nel trattamento oncologico. Recentemente Gnant e collaboratori, considerando la popolazione dello studio multicentrico randomizzato controllato in doppio cieco ABCSG-18, hanno analizzato la “disease free survival” (DFS) di donne in post-menopausa affette da tumore alla mammella non metastatico sottoposte a blocco ormonale adiuvante. Le pazienti sono state randomizzate in due gruppi: gruppo di studio, trattate con denosumab (60 mg 1 iniezione sottocute ogni 6 mesi) e gruppo placebo. Dopo un follow-up medio di 73 mesi, è stata valutata la DFS in 240 pazienti trattate con denosumab e 287 nel gruppo placebo; la DFS è risultata significativamente migliorata nel gruppo denosumab rispetto al placebo (hazard ratio 0,82, 95% IC 0,69-0,98, p=0,0260). Nel gruppo di studio, la DFS è risultata 89,2% a 5 anni e 80,6% a 8 anni di follow-up, rispetto a [...]

2019-07-03T12:21:40+02:003 Luglio 2019|

Raccomandazioni per la diagnosi e il management dell’ipofosfatemia X-linked

L’ipofosfatemia legata al cromosoma X (XLH, X-Linked Hypohosphataemia) è un disordine genetico a trasmissione dominante causato da una mutazione del gene PHEX (Xp22.1), che codifica per la proteina PHEX espressa a livello di osteoblasti, osteociti e odontoblasti e cementoblasti del dente. Si tratta della più comune causa di ipofosfatemia ereditaria, con una incidenza di 3,9 per 100000 nati vivi e una prevalenza che oscilla tra 1,7 su 100000 nel bambino e 4,8 su 100000 nella popolazione generale. La patologia può portare a severe complicanze come rachitismo, deformità degli arti inferiori dolore invalidante, difetti di mineralizzazione dei denti e alterazioni della crescita nel bambino, e osteomalacia, entesopatie, artrosi e pseudofratture nell’adulto. Data la rarità della patologia, spesso la diagnosi e il trattamento vengono ritardati, con effetti negativi devastanti per il paziente. Recentemente, Nature Review Nephrology ha pubblicato una consensus statement che raccoglie le linee guida per la diagnosi ed il management della XLH, approvata da Società Scientifiche Europee e Internazionali che si occupano di nefrologia, endocrinologia, malattie rare, osteoporosi, periodontologia e malattie pediatriche ortopediche e neurochirurgiche. Al termine di questo update, il gruppo di ricerca raccomanda una diagnosi basata sull’associazione di criteri clinici, radiologici e biochimici, che comprenda una dettagliata valutazione delle alterazioni della crescita e del metabolismo osseo, lesioni rachitiche, segni di ipertensione endocranica, in particolare nel bambino. Suggeriscono inoltre controlli periodici da parte di un team multidisciplinare, organizzato da esperti nelle patologie del metabolismo dell’osso, che dovrebbe integrarsi [...]

2019-05-22T15:52:31+02:0022 Maggio 2019|

L’uso dei database Amministrativi nella ricerca medica, alcuni accenni generali.

Nell’ambito delle analisi epidemiologiche l'uso dei Database Amministrativi dei dati sanitari   è diventato ormai un metodo di analisi ampiamente utilizzato a causa della sempre maggiore affidabilità delle varie  metodologie di rilevazione adottate. Tali sistemi sono solitamente organizzati sulla base di numerosi database individuali (Flussi) nei quali vengono registrati i, I ricoveri, i consumi di farmaci o di altere risorse sanitarie, i costi ecc. Tali database sono suddivisi sulla base della natura del dato raccolto. Le informazioni raccolte all’interno di ogni database sono indicizzate sulla base del percettore del servizio (paziente) e sono anonimizzate mediante l’utilizzo di un numero identificativo univoco assegnato al paziente che ha usufruito del servizio. Tali database possono essere indagati attraverso due diverse modalità, a seconda dell’ampieza e della natura dell’analisi che si vuole effettuare. In un primo caso le analisi possono essere effettuate considerando un solo flusso, utilizzando le sole informazioni presenti nello stesso (analisi verticale), nell’altro caso invece possono venir utilizzati più flussi dove le varie informazioni di diversa natura vengono collegate tra di loro utilizzando gli ID pazienti (Analisi orizzontali). I dati contenuti nei database di questo genere hanno due caratteristiche principali che devono essere tenute in considerazione in ogni elaborazione con finalità scientifico sanitaria. I dati contenuti sono per definizione dati amministrativi, raccolti per finalità di “controllo di gestione”, la natura amministrativa di tali rilevazioni puo quindi influenzare  le modalità di raccolta dei dati che non hanno propriamente tale natura, i dati [...]

2018-09-24T16:40:17+02:0024 Settembre 2018|
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